08 Giugno 2011

La compagnia teatrale Artetéka è uno di quei valori aggiunti che ogni comunità cittadina potrebbe essere orgogliosa di mostrare nei cataloghi delle offerte culturali presenti sul territorio.

Il saporito amalgama di entusiasmi e di professionalità, di fantasie e di studi rigorosi, di sana follia artistica e di saggio rispetto verso le attese del pubblico invitato alle manifestazioni, è soltanto il più evidente merito del gruppo di giovani, per lo più trentenni, guidato da Salvatore Ronga.

Omaggio a Saramago, ha segnato una tappa importante per le ambizioni teatrali dell’affiatata compagnia composta da Nadia Buono,

 

 



Salvatore Ronga e Viviana Mancini

Agnese Santo, Roberto Scotto Pagliara,  Massimiliano Sollino, accompagnata musicalmente da Agostino Iacono e da  Enrico Iacono.

In altre pagine si è scritto e si scriverà dei lusinghieri aspetti artistici e delle valide iniziative connesse al ponte gettato con le istituzioni del Portogallo mediante il corposo risalto dato all’opera dell’unico premio Nobel per la letteratura di quel Paese, mentre in questo spazio mi preme porre in evidenza l’aspetto mediatico del settore spettacoli e cultura, proponendo una riflessione sulla distorsione con cui si sminuisce la potenzialità dei nostri patrimoni artistici a seguito di carenze strutturali e di inefficienze speculative sul piano promozionale. 

Nel Foyer all’aria aperta in cui ci siamo intrattenuti subito dopo lo spettacolo (il cortile esterno della antica residenza dei Guevara affacciata sulla baia di Cartaromana, prospiciente il  Castello Aragonese e con l’isola di Capri illuminata dalla luna), si ascoltavano spettatori entusiasti della rappresentazione interloquire con frasi tipo “Sono troppo bravi…” “Una bellissima serata d’arte scenica” “Ottima la recitazione e molto interessante la regia”

Tra i tanti elogi, una asserzione mi ha colpito particolarmente “Sono troppo bravi, sono sprecati, dovrebbero fare il salto di qualità e proporre i loro spettacoli a Napoli“.

Ero in compagnia di amici e così, per evitare di apparire inopportunamente polemico, mi sono trovato a voler tacere di fronte a quella che mi è subito apparsa come una ingiusta insolenza nei confronti della nostra società, ma forse giustificata dalle ottuse gestioni pubbliche del patrimonio culturale di cui possiamo vantarci. 

“Ma come – avrei voluto ribattere – qualcuno può indurci a credere che uno spettacolo da tutto esaurito, che ha tenuto fermi in piedi per oltre un’ora più di un terzo del pubblico presente, proposto in un luogo di  memoria storica cinquecentesca ubicato in una delle più prestigiose mete turistiche  del mondo, uno spettacolo messo in scena con fondi insufficienti ad elargire finanche un “minimo” gettone di presenza agli attori, ebbene qualcuno può indurci a credere che questo spettacolo se avesse voluto o se vorrà ricevere la giusta valorizzazione, avrebbe dovuto o dovrà essere messo in scena in uno dei mausolei napoletani che a volte (vedi lo storico Trianon) sono passati attraverso le decennali “prostituzioni” mentali della programmazione di films a luci rosse?”

E allora, ancora una volta ho capito, con malcelato disgusto, che non basta l’essenza di un’Arte pura e reale per bucare gl’involucri di plastiche opache che formano barriere lungo la strada della fruizione delle opere artistiche e verso un consenso generale, ma le opere occorre dotarle di etichette, affidarle ad un gestore-padrone, snaturarne picchi di emozionalità per poi proporle in contesti omologati e tranquillizzanti -né più, né meno di come avviene per i salumi e le automobili

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